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Uomini vs Donne: sfida tra competizione ed emotività

Anoressia

Uomini e donne si pongono nello stesso modo e hanno le stesse reazioni di fronte alla competizione e alla sfida? Sono andata ad approfondire l’argomento grazie a un video dell’allenatore Julio Velasco, tra i suoi tanti interventi molto interessanti sulla motivazione e la leadership, che mi ha colpito per le differenze citate che aveva riscontrato allenando nella pallavolo squadre maschili e squadre femminili. Con la sua modalità sempre molto accattivante racconta che quando i ragazzi talentuosi provano e si allenano tendono a fare la giocata più difficile e si impegnano in quell’obiettivo sbagliando un sacco di volte, per loro non è importante se la palla esce tante volte se per almeno una volta il colpo riesce esattamente come sperano e quando riescono a creare quell’azione straordinaria dopo tanti errori alzano le mani al cielo per esultare. Come dice Velasco: “questi sono i maschi”. Per le squadre femminili ha avuto invece bisogno di sottolineare di non preoccuparsi se sbagliavano, di provare colpi nuovi: “fa niente se sbagliate, provate”.

Per capire meglio come approcciarsi alle squadre femminili racconta di aver chiesto a una sua amica, preside di una scuola elementare in argentina, “come sono da piccoli?” E lei gli ha detto una cosa interessante: “hai presente i calcoli matematici mentali che si fanno a scuola? Non vince mai una bambina, è rarissimo. Perché? Lei ci arriva alla soluzione, però nel dubbio che possa dire una cosa sbagliata lascia andare un altro avanti. Perché se lei sa che era nel giusto le è sufficiente, non ha bisogno del riconoscimento. Invece il maschio ci prova a ripetizione e sbaglia un sacco di volte pur di vincere una volta. Le bambine devono sentirsi ipersicure e comunque hanno quell’attimo di dubbio che fa che un maschio le anticipi. Però loro dopo dicono, lo sapevo, sono tranquille, lo sapevano.”
Nelle ricerche che esaminano la partecipazione delle ragazze e dei ragazzi alle competizioni di matematica e le differenze di genere nell'interesse per le materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) alcuni studi hanno rilevato che, nonostante le prestazioni medie simili, le ragazze possono avere meno fiducia in sé stesse e possono essere meno interessate alle competizioni di matematica e alle materie STEM rispetto ai ragazzi. In una ricerca Niederle e Vesterlund hanno evidenziato che, in alcuni contesti, le donne tendono ad evitare la competizione più degli uomini. Questo comportamento può influenzare le scelte riducendo la partecipazione femminile in ambiti altamente competitivi. Un altro studio di Croson e Gneezy ha esaminato le differenze di genere nelle preferenze e nei comportamenti, notando che le donne potrebbero avere una minore propensione a prendere rischi rispetto agli uomini in certi contesti.

Quali leve attivano la competizione e cosa succede sotto stress?

Un’altra cosa che cita Velasco è la connotazione affettiva, emotiva, che stimola la donna ad affrontare la sfida, in modo diverso. Quello che accende la sfida nella squadra maschile, ovvero l’orgoglio, e quindi la funzione che può avere una frase tipo “si vede in faccia che avete paura” che li attiva e li fa arrabbiare al punto da essere ancora più efficaci e uniti contro l’avversario, mette in confusione la squadra femminile la cui reazione a questa frase è guardarsi tra di loro per chiedersi: “abbiamo paura, qualcuno ha paura?” con il rischio che diventi una convinzione.
Una ricerca condotta da Kassing e Sanderson ha esaminato le differenze di genere nelle motivazioni e nelle strategie di coping durante la competizione sportiva. Lo studio ha rilevato che le donne potrebbero essere più orientate e interessate alla collaborazione e alla coesione di gruppo durante la competizione, mentre gli uomini potrebbero essere più inclini a manifestare comportamenti assertivi e competitivi.

Uno studio pubblicato su "Personality and Social Psychology Bulletin" ha evidenziato che le donne tendono a sperimentare un maggiore stress emotivo rispetto agli uomini, e che ciò può influenzare il modo in cui affrontano le situazioni stressanti e cercano il supporto sociale in quelle situazioni. Una ricerca condotta da Eagly, Makhijani, e Klonsky che ha esaminato le differenze nel modo in cui uomini e donne affrontano la leadership e ha infatti evidenziato che le donne preferirebbero uno stile di leadership più collaborativo nonché la ricerca di supporto sociale come strategia principale per far fronte allo stress, mentre agli uomini preferirebbero strategie di risoluzione dei problemi e una condotta più individualista.

Nel 2000, la psicologa Shelley Taylor e alcuni colleghi hanno ipotizzato che, in situazioni stressanti, le donne tendono a reagire diversamente dagli uomini. Invece di rientrare nel paradigma del combatti-o-scappa, sembra che le donne siano più propense a mettere in atto comportamenti sociali e associativi, per legare con il nemico -in caso sia presente- o per cercare aiuto e supporto dagli amici o dai familiari. Secondo la Taylor, invece di rilasciare nel circolo sanguigno grandi quantità di adrenalina e cortisolo come capita negli uomini, le donne rilasciano più endorfine, sostanze chimiche che portano sensazioni di benessere e alleviano il dolore, e più ossitocina, il cosiddetto “ormone dell’amore”, che ci rende fiduciosi ed empatici con il prossimo e ci aiuta a socializzare. Secondo alcune ricerche questa differenza di reazione allo stress potrebbe essere imputata ad un singolo gene, il gene SRY, presente nel cromosoma X maschile e responsabile della differenziazione delle gonadi in senso maschile, regola la secrezione delle catecolamine - inclusi adrenalina, dopamina e serotonina - nel sangue, causando la tipica risposta del combatti-o-scappa. Le donne, sebbene mostrino un aumento delle catecolamine dopo una situazione stressante, non hanno il gene SRY e quindi la loro risposta allo stress coinvolge altri meccanismi genetici e fisiologici, tra cui cambiamenti nelle quantità di estrogeni, ossitocina ed endorfine. Questi cambiamenti fisiologici faciliterebbero la risposta tend-and-befriend, ovvero “prenditi- cura- e-sii-amichevole”.

Susan Cross e Laura Madson attraverso delle ricerche hanno costruito un modello relativo al diverso modo in cui uomini e donne costruiscono il proprio Sé: secondo questo modello l’identità delle donne sembrerebbe essere maggiormente fondata sull’interdipendenza e quindi più influenzata dalle relazioni con gli altri; le donne tenderebbero a privilegiare una comunicazione più empatica e collegiale, mentre gli uomini preferirebbero una comunicazione più diretta e assertiva.

Nello sport piangere è accettabile?

Gabriella Farkas sostiene che gli adulti hanno tre differenti meccanismi che attivano le lacrime per funzioni diverse: quelle basali vengono attivate per la lubrificazione, quelle riflesse per eliminare le sostanze irritanti e quelle psichiche verrebbero attivate in risultato a emozioni come tristezza, rabbia o anche in risposta allo stress. Le lacrime psichiche sono mediate dal sistema limbico, zona del cervello dove vengono elaborate le informazioni emotive. Quando proviamo un’emozione, l’amigdala stimola il sistema nervoso che produce un neurotrasmettitore chiamato acetilcolina che a sua volta provoca l’attivazione del sistema lacrimale. Culturalmente, il pianto di un adulto, soprattutto quello maschile, è considerato una manifestazione di debolezza, motivo per cui si è spesso spinti a nasconderlo, forse per questo le donne posso permettersi di piangere di più: uno studio ha dimostrato che le donne piangono mediamente dalle 30 alle 64 volte l’anno mentre gli uomini dalle 6 alle 17 volte. Piangere può avere effetti benefici sia sociali che fisici, può aiutare a stare meglio perché avvicina l’altro, solidifica le relazioni; inoltre, quando piangiamo, il nostro corpo produce un ormone chiamato adrenocorticotropo (ACTH), che regola la gestione dello stress, e le encefaline che sono un antidolorifico naturale, per questo motivo spesso dopo aver pianto ci sentiamo meglio.

La competizione nello sport produce per gli atleti forti emozioni, scenari stressanti, e un’intensa attivazione fisiologica, anche chi segue uno sport ha risposte fisiologiche riflesse molto attive in connessione con l’atleta preferito, frequenza cardiaca e livelli ormonali aumentano, il coinvolgimento emotivo è così alto che ci si sente come quelli che stanno giocando. Il pianto non fa differenza rispetto alle altre emozioni. Uno studio pubblicato sul British Journal of Social Psychology ha evidenziato che gli uomini sono più a loro agio nell’esprimere emozioni come rabbia e dolore in contesti specifici e governati da regole, come le partite di calcio. In un altro studio pubblicato sulla rivista Psychology of Men & Masculinity è stato chiesto a 150 giocatori di football di valutare le riprese di altri atleti che piangono. Gli atleti generalmente concordavano sul fatto che era altamente appropriato piangere dopo aver perso e, in misura minore, dopo aver vinto. Inoltre in questi atleti c’era una forte correlazione tra l’approvazione del pianto, una maggiore autostima e dei risultati migliori. Vengono comunque riconosciute situazioni appropriate per le lacrime, per esempio quando un allenatore si ritira, o quando un compagno di squadra si è infortunato, quindi quando succede qualcosa che non è collegato alla prestazione.

Ma forse per la donna nello sport il pianto può avere anche un altro significato oltre all’emozione della tristezza, per esempio può essere un’espressione di rabbia: “La donna non ha meno forza, quando la donna piange è come il nostro cazzotto, la donna piange perché ha perso il controllo non perché è debole, come gli uomini che danno cazzotti perché hanno perso il controllo” dice Velasco. Il pianto di una donna dopo una sconfitta, fin troppo spesso tacciato di grande emotività, di fatto è paragonabile alla reazione degli atleti maschi che, dopo una partita difficile, vengono alle mani o lanciano in aria oggetti dalla panchina. In entrambi i casi, si perde semplicemente il controllo e si esprime rabbia.

Senza trascurare che esistono molte eccezioni individuali a prescindere dall’appartenenza di genere e che le differenze non sono assolute, possiamo concludere che le differenze tra l’atteggiamento competitivo e le leve che muovono la sfida tra uomini e donne possono derivare da diversi fattori, inclusi quelli biologici, psicologici, sociali e culturali. Le differenze biologiche derivanti dagli ormoni, le aspettative culturali e sociali riguardo ai ruoli di genere possono certamente influenzare la motivazione e il comportamento competitivo, ma resta valido che ogni singolo adulto a prescindere dal genere di appartenenza è unico ed irripetibile per personalità, ambiente di vita in cui è cresciuto, educazione ricevuta ed esperienze personali vissute.

Per approfondire

Croson, Rachel, Gneezy, Uri “Gender differences in preferences” Journal of Economic Literature, 2009
Cross, Madson “Models of the self: Self-construals and gender”, in Psychological Bulletin, 1997
Eagly, Makhijani, Klonsky “Gender and the evaluation of leaders: A meta-analysis.” Psychological Bulletin, 1992
Niederle, Muriel, Vesterlund, Lise “Do women shy away from competition? Do men compete too much” The Quarterly Journal of Economics, 2007
Taylor et al. “Biobehavioral responses to stress in females: tend-and-befriend, not fight-or-flight”. Psychological Review, 2000
Francesco Artegiani “Stress e genere. Donne e uomini in crisi”
Gladys Bounous “Perchè le atlete piangono?”