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Avere paura della paura: i disturbi fobici legati alla paura

Esistono tante paure quante ne possiamo inventare dice Giorgio Nardone e siccome non c’è limite alla fantasia non c’è limite neanche nella nostra capacità di inventarci paure. Le paure o le fobie possono essere superate attraverso la terapia. Isak Marks ha dimostrato fin dai primi anni settanta che la terapia ben costruite era in grado di risolvere nell’arco di 6 mesi circa il 70% dei disturbi fobici; Barlow ha dimostrato che l’83% dei casi di disturbi fobici possono essere risolti efficacemente con una terapia che non superi i 12 mesi; Nardone con la sua terapia strategica breve riesce a risolvere i casi di disturbo fobico nell’arco di 3 mesi circa. Ora senza fermarci sulle durate più o meno lunghe, quello che emerge da queste ricerche è che si possono fare i conti con le proprie fobie con l’aiuto di uno specialista per uscire dalle catene della propria paura.
Senza una dose di paura naturale non si può sopravvivere, poiché è proprio lei che ci allerta di fronte ai pericoli reali e che ci permette di affrontarli. Quindi un essere umano non può essere privo di paura. Tuttavia quando la paura supera una certa soglia blocca e rende incapaci di avere delle reazioni opportune agli eventi. Quindi la differenza è che una paura naturale permette di vivere la nostra realtà e gestirla una paura invalidante impedisce questa capacità e incatena la persona nella prigione del panico. Il livello di gravità della patologia è dato proprio dal livello di impedimento esistenziale, esistono alcune paure che non permettono alla persona di vivere la maggior parte delle situazioni: gli attacchi di panico, le ossessioni compulsive, l’agorafobia, l’ipocondria.
Quando la percezione minacciosa della realtà diventa così impedente bisogna rivolgersi a uno specialista che possa trattare il disturbo. E’ facile fare un’autodiagnosi per capire se ce n’è il bisogno: basta misurare quanto le paure impediscono la realizzazione dei desideri o le capacità di una persona. Il terapeuta si focalizzerà sul come, senza rendersene, questa persona ha costruito la propria trappola nella quale è entrata e non è riuscito più a uscirne.
Il comportamento messo in atto da chi soffre di un disturbo fobico è l’”evitamento”, ovvero si tendono ad evitare le situazioni o le condizioni che possono essere associate all’insorgere delle paure incontrollabili. Questa condotta inizialmente valida tende a diventare una trappola perché ogni evitamento conferma la pericolosità della situazione evitata e conduce a incrementare questo tipo di comportamento sino all’evitamento successivo. Questa spirale produce un incremento della paura e della sfiducia nelle proprie risorse così da far diventare il disturbo sempre più limitante.
Dopo la spirale degli evitamenti il passo successivo ed inevitabile dovuto alla scarsa fiducia nelle proprie risorse è la richiesta di aiuto, ovvero l’essere accompagnati e sostenuti da qualcuno, che inizialmente risulta rassicurante ma poi conduce a un aggravamento perché la persona non riesce più a svolgere nessuna azione da solo.
Un altro “copione fobico” si basa sul controllo, da parte del soggetto, sia delle proprie reazioni fisiologiche che comportamentali nonché della realtà circostante. In questo caso sarà proprio l’eccesso di tentato controllo a far perdere al soggetto il controllo. Ad esempio nel disturbo ipocondriaco la spirale irreversibile si crea per i ripetuti controlli su di sé di alcune reazioni fisiologiche che appaiono alterate e per i continui controlli medici che sono necessari per sedare la paura ma che anche se hanno risultati negativi non riescono perché vengono messi in dubbio dalla persona.
L’aspetto interessante che lega sia l’esordio di questo disturbo fobico che quello relativo ad alcuni attacchi di panico è l’eccessiva attenzione e necessità di controllo su funzioni fisiche spontanee. Se ci concentriamo sull’ascolto del nostro battito cardiaco, che nonostante la nostra scarsa attenzione solitamente continua ad essere regolare, e ci forziamo a controllarlo invece volontariamente, ci rendiamo conto che proprio in quel momento perderà la sua regolarità. Ecco per chi soffre di disturbo ipocondriaco questo fa aumentare la paura fino a pensare alla possibilità di avere un collasso. La persona con un disturbo di attacchi di panico, invece pretende di controllare le proprie reazioni di paura che scatenano i sintomi fisiologici. Ma proprio questo sforzo di controllo rende possibile il sintomo che fa perdere il controllo. Ovvero la paura della paura produce il panico. Se ci immaginiamo in mezzo a una folla e abbiamo il pensiero di poterci sentire male, la prima cosa che faremo è controllare le nostre reazioni fisiologiche più attentamente, questa focalizzazione altererà le finzioni fisiologiche così come abbiamo descritto per il battito cardiaco. Questa alterazione aumenterà il senso di paura che farà aumentare le reazioni fisiologiche in una spirale di alimentazione fino all’escalation che produrrà la crisi di panico.
Igor Sikorsky fa l’esempio del calabrone che continua a volare liberamente solo perché non è a conoscenza del fatto che, secondo calcoli complessi, non potrebbe volare a causa della sua forma e del peso del corpo in rapporto alla superficie alare, nello stesso modo, uguale e contrario, la formazione di un disturbo generalizzato da panico si forma con il criterio del controllo che fa perdere il controllo.
Quando invece la fobia fa mettere in atto rituali protettivi o propiziatori per far sì che non si presenti la paura entriamo nel novero della sintomatologia compulsiva dove proprio questi rituali di comportamento sono necessari per rassicurare il soggetto al punto che il problema smette di essere l’eventuale percezione della paura ma la difficoltà ad interrompere i rituali anche quando non sarebbero necessari.
Spesso l’ansia e la paura vengono confuse, nominate come fossero la stessa cosa, in realtà la paura è una percezione che scatena un’emozione che a sua volta innesca una reazione psicofisiologica, l’ansia è l’effetto psicofisiologico di tale percezione emotiva. Quindi la paura è una forma di percezione, l’ansia una reazione fisiologica. Se l’ansia diviene troppo elevata può trasformarsi nella causa della paura, trasformando l’effetto in causa. Damasio e Gazzaniga nei loro esperimenti dimostrano che ridurre l’ansia di un soggetto (farmacologicamente, o chirurgicamente per esempio) può inibire le reazioni ma non altera le percezioni, quindi se l’ansia sparisce la paura invece resta. Inibire le reazioni fisiologiche della paura è come ingessare completamente una persona e poi sottoporla a stimoli spaventosi. Non potrà reagire, ma sentirà comunque la percezione della paura e la sua impossibilità a reagire, quindi incrementerà la sensazione di incapacità a gestire tale emozione.
La stragrande maggioranza delle persone si vergona delle proprie paure come se fosse possibile non averne. Una dose gestibile di paura è fondamentale per la sopravvivenza, ed è grazie alle nostre paure che ci spingiamo oltre ai nostri limiti diventando consapevoli di nostre risorse spesso sconosciute. Il valoroso generale Turenne affermava: “certo che mi comporto come un uomo coraggioso ma ho paura per tutto il tempo”. La maggioranza dei nostri atti di coraggio sono possibili perché stimolati proprio dalle nostre paure. Accogliere e accettare qualcosa che ci fa paura ci permette di non rimanere paralizzati, chi nega la propria paura rischia di “battersi con la propria paura come un pazzo che cerca di scacciare la propria ombra” come scrive Shakespeare. Conoscere la propria fragilità può divenire un punto di forza, solo chi ha avuto paura può essere coraggioso.

Per approfondimenti: Giorgio Nardone “Oltre i limiti della paura” 2000

Susanna Casubolo