Perché abbiamo l’ansia?
"Anche le mie ansie hanno l’ansia” Charlie Brown
Il termine ansia deriva dal latino “angere”, che significa stringere, ed è uno stato emotivo piuttosto comune che si riscontra in vari momenti e situazioni della vita umana. I sintomi più comuni descritti sono fiato corto, petto pesante e difficoltà a respirare. Ma per capire da dove viene e come funziona ci affidiamo alla descrizione di Lucio Della Seta, analista e psicologo, che descrive l’ansia non più come causa ma come effetto: l’ansia non sarebbe causa di allarmi neurovegetativi (somatizzazioni), ma effetto di alterazioni viscerali di origine ignota oppure ignorata. Per spiegarlo con un esempio non sarebbe l’ansia a provocare la tachicardia, ma l’aumento improvviso e misterioso del battito cardiaco provocherebbe l’ansia.
Le reazioni neurovegetative che scatenano l’ansia sono le stesse che il nostro corpo attiva quando ci troviamo in presenza di un pericolo fisico ovvero quando ci troviamo a fronteggiare una minaccia alla nostra sopravvivenza. Poiché il mondo è pieno di pericoli, l’evoluzione, nel corso di milioni di anni, ha programmato nel nostro organismo delle risposte automatiche al pericolo, che scattano da sole non appena percepiamo, con i cinque sensi, una minaccia alla nostra incolumità. Si tratta di risposte automatiche, fuori dal nostro controllo, ed è opportuno che sia così, perché se dovessimo essere noi a decidere cosa fare mentre un’auto sta per investirci, moriremmo di sicuro. L’insieme di queste risposte automatiche e autonome della volontà, in presenza di una minaccia alla nostra integrità fisica, trasforma il corpo, in millesimi di secondo, in una potente macchina di combattimento. Le risposte, infatti, portano a un assetto corporeo pieno di forza e di energia, adatto a fuggire o a lottare con successo.
Cosa accade al nostro corpo quando siamo esposti a un pericolo?
Sembra incredibile, è una reazione rapida che si produce in qualche millesimo di secondo e si attiva prima di aver potuto ragionare: i bronchi si dilatano per rifornirci di ossigeno, il cuore si mette a battere velocemente per riempire di sangue i muscoli, le coronarie si allargano per agevolare il flusso del sangue, parte una scarica di adrenalina destinata a mantenere altissime l’attenzione e la vigilanza, l’intestino si contrae per disfarsi del suo contenuto che è un’inutile zavorra, la muscolatura si tende per passare all’azione; si dilatano le pupille per migliorare la visione, c’è una costrizione arteriosa cutanea che fa rizzare peli e capelli per apparire più grandi e minacciosi all’avversario; ci sono anche il sudore delle mani per afferrare meglio, il sudore di tutto il corpo utile al raffreddamento dell’organismo nel calore del combattimento, il rilascio dello zucchero da parte del fegato per aumentare l’energia e un aggiustamento istantaneo dell’equilibrio a seconda del tipo di minaccia da affrontare. Le risposte automatiche al pericolo sono seguite di regola da un’azione volontaria difensiva utile come strumento di sopravvivenza quale lottare, fuggire o nascondersi.
Cosa succede se le risposte non sono seguite da un’azione e se la grande energia accumulata per poter combattere non viene sfogata?
Se non c’è nessuno scarico attraverso l’azione succede che noi percependo la tempesta neurovegetativa in atto ne abbiamo paura e possiamo avvertire ansia o addirittura panico. Di contro, quando le risposte sono seguite dall’azione non proviamo alcun turbamento emotivo. È esperienza comune che mentre si è ingaggiati in una lotta, o mentre si corre via per salvarsi non si avvertono emozioni, e questa è una dimostrazione di saggezza della natura, perché emozioni e ragionamenti sarebbero un pericoloso impaccio ai comportamenti automatici di salvezza. Ed è anche esperienza comune che quando le alterazioni dell’organismo, in genere, sono accompagnate da azioni in accordo con il compito da svolgere noi non le percepiamo. Quando un calciatore insegue la palla non avverte l’aumento del battito cardiaco, e quando facciamo l’amore non percepiamo il cuore che batte a centottanta pulsazioni al minuto, una velocità funzionale alla grande quantità di energia necessaria a svolgere quel gradevole compito. C’è anche il caso ambiguo in cui osservando un grosso serpente dietro il vetro dello zoo sentiamo il cuore che batte. Se corressimo via come vorrebbe una parte del nostro cervello, non lo sentiremmo.
Quando i cosiddetti paurosi, o ansiosi, si trovano di fronte a incidenti, incendi, terremoti sono spesso i più coraggiosi e intervengono tra i primi per salvare gli altri, nonostante il pericolo reale che corrono. Entrano in azione e l’ansia che in genere li tormenta, scompare. Chiunque sia stato in guerra sa di non aver mai avuto paura durante il combattimento, ma solo prima e dopo. Se ne deduce, nell’insieme, che il meccanismo “fuggire o lottare”, se c’è un pericolo fisico concreto, fa bene il suo lavoro, non ci disturba e ci salva. Ma quando le risposte scattano “a vuoto”, cioè in assenza di un pericolo fisico, allora emerge la sofferenza dell’ansia e del panico. Questo può succedere per esempio quando il meccanismo si attiva per un pericolo percepito dal pensiero, perché è impossibile battersi fisicamente con il contenuto di un pensiero.
Facciamo un paio di esempi?
Mi tuffo in mare in acque profonde per una nuotata. Sono distante cinque o sei metri dalla barca, quando vedo una pinna di pescecane. Mi salvo perché sono dotato di un meccanismo formidabile. L’occhio vede la pinna e, senza alcun ragionamento, divento di colpo una bomba di energia che mi permette di raggiungere la barca in tempo. In millesimi di secondo e senza che io lo percepisca, con una reazione automatica al pericolo fisico, il cuore ha accelerato grandemente il suo battito pompando abbondantemente quantità di sangue ai muscoli, per rifornirli del carburante necessario a farmi sviluppare la velocità di un campione olimpionico. E non ho provato nessuna emozione di paura. Non ho percepito il cuore che batteva forte perché il fenomeno era funzionale e adatto al pericolo.
Ora invece sto prendendo il sole sdraiato comodamente, al sicuro, sulla spiaggia. Mi viene in mente che ieri mi sono comportato male e ho fatto una brutta figura. Oppure, penso che la mia ragazza mi ha lasciato e sono solo, sconfitto, e ho un calo di autostima. Il mio cuore riprende a battere forte, come quando fuggivo dal pescecane; ma allora batteva senza che me ne accorgessi, senza che lo percepissi. Ora invece lo sento, il battito, ed è proprio questa percezione corporea improvvisa, inspiegabile, fuori luogo, sorprendente e senza finalità che mi provoca lo stordimento frastornante e sgradevole nella testa che è l’emozione di paura o ansia. Ogni pensiero di pericolo mette in moto un’inutile tempesta neurovegetativa per difenderci da un pericolo solo pensato, trasformando il nostro corpo in una macchina da combattimento che non possiamo usare.
Quando poi siamo costretti a fare qualcosa che ci spaventa il cervello lancia il segnale di allarme rosso per la sopravvivenza della specie. Molti, quando devono prendere l’aereo, sperimentano lo strano fenomeno per cui all’aeroporto attendono di imbarcarsi con lo stato d’animo di chi andava al patibolo. La mente, in preda al terrore, trascina fino all’aereo un corpo che sta cercando di correre via, come dimostra l’aumento del battito cardiaco, la tachicardia, reazione necessaria a irrorare di sangue i muscoli deputati alla corsa. Se ci stiamo chiedendo come mai alcuni viaggiano verso l’aereo senza problemi possiamo rispondere che la sensibilità alle variazioni propriocettive, cioè il percepire le variazioni interne dell’organismo, non è uguale per tutti. Varia per ogni individuo, in grado minore o maggiore. C’è chi avverte anche un solo battito in più del cuore e chi non se ne accorge neppure.
Conoscere e divenire consapevoli di questo meccanismo è importante, può aiutare chi soffre d’ansia a spezzare il circolo vizioso, ecco perché un percorso psicoterapeutico può essere fondamentale: per cercare di individuare i pensieri di pericolo che scatenano la tempesta neurovegetativa, soprattutto se il meccanismo è attivato da un pensiero inconscio e quindi difficilmente individuabile. Arrivare alla conoscenza di un processo inconscio vuol dire portarlo sotto il controllo corticale, a contatto con la razionalità, renderlo consapevole.
Se la paura e il panico fossero dannosi per l’organismo la specie umana si sarebbe estinta da tempo. Le risposte automatiche al pericolo scattano da milioni di anni in base a informazioni che ricevono dall’olfatto, dalla vista, dal gusto, dal tatto e dall’udito. Ma ora gli uomini si trovano in un punto della loro storia evolutiva in cui le minacce alla vita sono meno presenti nei contesti in cui vivono e le risposte automatiche scattano anche su informazioni che ricevono dal pensiero o che vivono nella parte inconscia. Ecco perché per trovare una soluzione agli attacchi di ansia può essere molto utile l’aiuto di una persona competente.
Per approfondire: Lucio Della Seta “Debellare l’ansia e il panico” 2015